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La Via Contemplativa
"Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà". San Bernardo di Chiaravalle
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Umiltà e carità per aprirci alla contemplazione
L'umiltà è l'esperienza di vivere in pace senza che le nostre scelte siano separate da Dio, dagli altri, da noi stessi e dal cosmo. L'umiltà è la via che conduce a una vita di verità e autenticità, così da generare la realtà in continuo divenire. L'orgoglio, di contro, è il collasso della nostra umanità, è la vita dell'animale intellettivo che si trova in una condizione di continuo allarme perché vive nella costante paura derivante dal senso di separazione. L'insegnamento di Gesù riguardo all'ascensione contemplativa è: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14,6). La via è l'umiltà, che conduce alla verità. L'umiltà è dunque la qualità da sviluppare mediante uno sforzo faticoso, mentre il frutto di tale fatica è la verità. Per Gesù la verità può esser conosciuta soltanto attraverso l'umiltà. Questa è la Via da seguire. La verità è una realtà così sottile che solo una virtù raffinata come l'umiltà può coglierla appieno. Non a caso Gesù dice: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,29). Egli, dunque, propone se stesso come esempio di umiltà, come modello di mitezza e mansuetudine. Generando la stessa qualità di umiltà dentro di noi possiamo sperimentare la vita contemplativa che permette di penetrare la realtà fino alla verità più intima, e sperimentare la pienezza della Vita nella pace della propria anima. Una vita basata sull'umiltà permette di sperimentare che la Via della Verità è la Vera Vita. In altri termini è come se Gesù dicesse: Io sono la via che conduce alla verità; io sono la verità che promette la vita; io sono la vita. "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17,3). Conoscere questa vita è conoscere la vita eterna che non è la perennità del proprio ego, ma l'esperienza dell'infinito nel tempo. La vita eterna, difatti, non viene dopo il tempo, ma è qui ed ora . Non ha durata, dunque, non dipende dallo sviluppo del tempo. Per una vera ricerca spirituale è fondamentale non confondere bìos con zoè, la limitata e temporale vita biologica, con la Vita. Il teologo Fridolin Stier (1902-1981) definisce la vita eterna come "vita infinita" che non viene dopo la vita finita ma è la dimensione più profonda della vita che stiamo vivendo qui ed ora . Per questo, vivere adesso, vuol dire vivere all'infinito. Simeone il Nuovo Teologo avverte che "quelli che non vivono la vita eterna qui e ora, devono sapere chiaramente che non la vivranno mai". L'eternità è dunque l'altra faccia della temporalità . Chi non vive l'eternità nel momento presente non godrà mai della vita eterna , tanto che Gesù afferma: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10). La vita spirituale è scoprire per davvero la Vita nella vita, lo zoè nel bìos, come espresso dal concetto di Panikkar di tempiternità. Noi siamo gocce d'acqua che devono imparare a riconoscersi come acqua della goccia. La nostra vita limitata e biologica è la goccia che è formata d'acqua. Riscoprire che siamo l'acqua permette di eliminare il senso di separazione così da poter contemplare la Vita. La goccia deve tornare al mare, ma l'acqua di cui è composta non cesserà mai di essere. Questo è il luogo dove trovare la vita eterna, qui ed ora. Lao-zi esprime la stessa metafora in questi termini: "ogni onda sa di essere il mare, ciò che la disfa non la disturba, perché ciò che la infrange la ricrea". Così non sarà il mio ego, la goccia, che dovrò esaltare mediante la superbia, ma l'acqua che è la Vita che dovrò continuamente ricercare mediante l'umiltà. L'insegnamento di Gesù dona la fiducia necessaria per essere perseveranti durante la pratica soprattutto nelle notti oscure in cui si perdono i punti di riferimento certi. Possiamo dire che queste parole rappresentano il comandamento da ripeterci continuamente, ciò che ci può guidare in ogni notte oscura, soprattutto quella dello spirito. La via da seguire e non abbandonare mai, soprattutto nei momenti più bui della notte oscura, è quella dell'umiltà, che è la pratica per eccellenza di ogni vera tradizione spirituale. L'umiltà è la pratica che genera la qualità che ci permetterà di approdare al livello più profondo della nostra evoluzione. Nei momenti più angosciosi del cammino spirituale l'umiltà è l'unico punto di appoggio certo che abbiamo; ci rassicura che ciò che facciamo sfocerà verso una sicura evoluzione. L'umiltà è la via della salvezza. Gesù, inoltre, garantisce che seguire l'umiltà è verità e apre alla verità anche quando non ci sembra di trovare più nulla nel nostro percorso spirituale. Infine, quando la notte oscura arriva al suo culmine e ci sentiamo così stanchi e demoralizzati da essere tentati di abbandonare tutto, Gesù ci spinge verso l'umiltà in maniera definitiva poiché in essa vi è la vera vita, ossia la soluzione di ogni conflitto interiore. In sintesi, l'umiltà ci aprirà a una vita più profonda e nei momenti di notte oscura, quando non sentiremo più interesse nemmeno per la vita stessa, sarà l'unica facoltà che ci farà sentire ancora vivi. Gesù, ringraziando il Padre, così come il naturale movimento di trasformazione che avviene fra cielo e terra, indica chiaramente che senza umiltà non può esserci evoluzione spirituale: "ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). San Bernardo, con le parole del suo tempo, definisce l'umiltà come "la virtù per mezzo della quale l'uomo per un'esatta conoscenza di se stesso si svilisce al suo proprio cospetto". In altri termini, l'umiltà viene dal coraggio di stare di fronte al finito dei nostri limiti. Tale coraggio non può essere auto-generato. Il nostro ego, nel tempo, ha creato una serie di maschere illusorie che ci impediscono di osservare realmente i limiti che ci conducono nella direzione dell'onnipotenza. Le maschere hanno il compito di farci credere superiori e diversi da ciò che siamo. Perfino quando facciamo le vittime e ci dichiariamo inferiori lo facciamo per ottenere più di quanto pensiamo di essere in quel preciso momento. In altri termini le maschere ci spingono verso un falso infinito che si autocompiace dell'autonomia del nostro personale ego. In realtà abbiamo creato solo una gabbia in cui ci siamo isolati dalla realtà di chi siamo per davvero. In generale ci siamo estraniati dal conoscere noi stessi, gli altri e Dio, così come la natura umana, il cosmo e l'infinitamente conoscibile Dio. Nell'Antico Testamento si legge che Giacobbe "fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa" (Gen 28,12). Giacché la verità di Dio è in cima a questa scala, essa è il simbolo dell'umiltà al cui culmine troviamo la conoscenza della verità. Così quando Gesù dice "venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11,28), indica proprio di passare attraverso l'umiltà per trovare pace e serenità. Stare presenti a ciò che accade, accettare tutto senza creare separazione da niente può essere praticato solo grazie alla forza dell'umiltà. Infatti, la disposizione di base del cammino spirituale consiste nel poter accettare l'intera realtà: la realtà di Dio e della Fonte Originaria della vita, la realtà di noi stessi e degli altri. In sintesi accettare la creazione per com'è realmente. L'umiltà è l'esperienza di vivere senza che le nostre scelte siano separate da Dio, dall'Uomo e dal Cosmo. Salendo la scala dell'umiltà sviluppiamo la carità, ossia indirizziamo continuamente la nostra coscienza nella direzione dell'evoluzione; la carità si attua quando ogni nostro gesto si apre verso gli altri e verso Dio, ossia verso le altre Creature, il Creato e il Creatore. La carità fa sperimentare la realtà come continuità, senza separazione. La forza della carità permette la comunione e la condivisione della vita in assenza di paura che nasce proprio ogni qual volta c'è separazione. L'assenza dell'illusoria separazione e conseguente paura in cui si sviluppa la carità genera pace, benevolenza e gioia che aprono all'energia creativa della vita, lo Spirito Santo, dal quale scaturisce la conoscenza della verità e della realtà. La carità è il punto di passaggio fra l'umiltà e la contemplazione. L'umiltà elimina ogni paura e il senso di separazione portando ad avere la forza di poter condividere ed essere sostenuti da tutto ciò con cui entriamo in relazione: Creatore, Creato e sue Creature. La carità ci permette di entrare in relazione con l'Altro in se stesso perché ci apre oltre ogni nostro limite illusorio. La carità si diffonde nella contemplazione quando siamo immersi nella realtà, scoprendo di esserne parte integrante. Mediante l'umiltà si purifica la superbia, cioè ogni illusione che nasce dalla paura dovuta al senso di separazione. Attraverso la carità si gusta con gioia la comunione e l'interrelazione con tutto. Infine, contemplando, si scopre di essere parte di quel tutto che è la realtà, un continuo senza interruzione alcuna. Dunque, l'esperienza che s'intraprende grazie all'umiltà è essenziale per la ricerca della verità. L'umiltà che si sviluppa in carità ci apre alla conoscenza della verità quando la contemplazione, come frutto di umiltà e carità, ci fa essere la verità e la realtà. Presenti alla coscienza dello spirito, alla coscienza di Cristo, siamo sulla strada dell'umiltà e della carità che fa diventare noi stessi la verità. Conoscere, nella dimensione contemplativa, non è un'azione di separazione fra chi conosce e la cosa conosciuta, ma una fusione senza confusione in cui chi conosce diventa esso stesso la cosa conosciuta. Dio, infatti, non è un oggetto del conoscere ma lo stesso soggetto che attraverso l'uomo svela se stesso. La verità deve essere cercata in noi stessi, nel prossimo e nella natura: in noi stando presenti ai nostri limiti; negli altri partecipando alle loro fatiche e aiutandoli per quanto ci è possibile; nella natura delle cose mediante l'equanimità che nasce dalla purezza del cuore intesa come sinonimo di contemplazione. Innanzitutto, la verità è da cercare dentro di noi . Tale ricerca ci apre alla comunione e alla verità con gli altri. Quando siamo puri verso noi stessi e le altre persone abbiamo la struttura per osservare la natura originaria di ogni cosa, stiamo contemplando, presenti alla realtà senza interferire. Per fare un esempio, se nel nostro inconscio ci consideriamo inferiori in seguito a qualche memoria che ci portiamo dall'infanzia oppure ereditata dalla nostra cultura, compenseremo credendoci superiori. Tale considerazione non corrisponde alla realtà di noi stessi, giacché fra gli uomini nessuno è superiore . Se con tale sensazione illusoria ci accingiamo ad osservare le altre persone, le vedremo sempre filtrate da questa stessa illusione, tanto da non poterle osservare realmente ma solo in base alla nostra esigenza emotiva. In questa condizione illusoria non avremo l'occasione di scoprire la natura originaria né nostra né degli altri e non conosceremo mai la vera natura di ciò con cui entriamo in relazione. Ogni nostra considerazione su noi stessi, sugli altri o sulla natura delle cose, ossia sulla verità, sarà sempre illusoria, una falsa proiezione. La cura proposta dalle tradizioni contemplative è quella del silenzio. La psicoterapia o le parole servono per creare la predisposizione e la forza per poterlo sostenere, ma la cura definitiva viene solo dal silenzio. Guariremo da qualunque illusione e falsità tanto quanto riusciremo a sostenere il silenzio, dove tutto ciò che è nascosto viene alla luce e tutto ciò che è inutile viene rilasciato. Prendere coscienza di quello che è nascosto nel nostro inconscio e lasciarlo andare per sempre richiede una forza straordinaria. L'umiltà e la carità ne garantiscono la forza necessaria. Non si tratta di fare gli umili e i caritatevoli, quanto di essere noi stessi umiltà e carità nella realtà concreta del nostro essere e della nostra vita. L'umiltà e la carità permettono di sostenere con dignità ogni nostra caratteristica limitata, sia in positivo sia in negativo. Questo sostegno porta automaticamente a un cambiamento senza dover fare altro. Con tale dignità possiamo sostenere anche i limiti altrui senza deformarli in base alle nostre necessità. Sperimentiamo così che i dolori e le fatiche altrui sono i nostri, così da condividerli con tutti quelli che intendono aprirsi a noi, seppur solo con chi realmente si vuole aprire a noi. Con questa equanimità e cuore puro possiamo osservare la realtà per ciò che è, dunque essere verità. "Come infatti la verità non si vede nella sua purezza se non si ha il cuore puro, così la sventura del fratello è sentita più realisticamente da un cuore che soffre. Ma perché tu abbia un cuore che si rattrista per le miserie altrui, bisogna che prima riconosca la miseria tua". Solo facendo diretta esperienza dei propri limiti, restando a osservarli con coraggio e dignità senza volerli nascondere o , saremo in grado di osservare realmente i limiti altrui con lo scopo di aiutare l'altro. Infatti, chi nasconde i limiti propri cercherà gli altrui difetti per scappare dai propri, così da non avere umiltà e cuore puro. Se invece siamo onesti verso noi stessi, di conseguenza lo saremo anche verso l'altro, perché avremo come scopo solo la condivisione e la comunione, che sono il vero aiuto che possiamo offrire. Ciò genera un cuore puro che dà la forza e il coraggio di sostenere la realtà per ciò che è. Dal testo "La via dell'umiltà", Marco Ragghianti.

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